Italo-Baltica

associazione culturale

EDITA WALTEROWNA

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Assume notorietà artistica con tale nome e cognome in Italia, proveniente dalla Lettonia, sconosciuta e senza alcuna esperienza espositiva all’attivo, neanche del tipo collettivo.
Nasce Edita Walterowna von Zur Muehlen il 26 novembre 1886 a Smiltene, nella Lettonia orientale (Livonia). Il padre Walter è di origine prussiana e appartiene alla classe feudale dei Baroni Baltici. La madre Blanchine Sivers appartiene a una famiglia di commercianti francesi, insediatisi a Riga da gran tempo.
Nel 1899 rimane orfana della madre. Lo zio barone Raimund von Zur Muehlen (1855-1931), cantante alla corte dello Zar e dell’imperatore prussiano, favorisce la sua formazione artistica.
Allorchè scoppia la prima rivoluzione nel 1905, abbandona avventurosamente la Lettonia e raggiunge col padre e lo zio la Prussia orientale: successivaemnte si reca in Polonia e poi a Berlino, dove lavora come infermiera all’Ospedale della Carità.
Nel 1908 (ventiduenne) si stabilisce a Konigsberg (l’attuale Kalinigrad), la città di Emmanuel Kant, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti fino al 1910. Nello stesso anno si reca per la prima volta a Parigi, dove frequenta gli ateliers di alcuni artisti. Visita Rouen, la città nella quale fu arsa viva Giovanna D’Arco.
Nel 1911 arriva per la prima volta in Italia, soggiorna brevemente a Firenze e Roma..
Nel 1912 (ventiseienne) torna in Italia e si stabilisce definitivamente a Roma. Olga Resenvic-Signorelli, traduttrice di romanzi russi, la introduce e accredita nel “milieu” artistico internazionale della capitale italiana, dove conosce, tra gli altri, anche lo scultore Angelo Zanelli, già marito della pittrice lettone Elisabeth Kaehlbrandt.
Nel 1913 ha inizio la sua attività espositiva: partecipa con due opere alla Prima Esposizione Internazionale d’Arte della “Secessione”, allestita nelle sale del Palazzo delle Esposizioni a Roma.
Nel 1914 muore il barone Walter von Zur Muehlen, suo padre, nato nel 1855. Si reca a Smiltene in Lettonia per sistemare la tomba di famiglia. Non vi farà mai più ritorno. L’Italia sarà la sua nuova patria fino alla fine dei suoi giorni. Morirà ultranovantenne.
Nel 1917 (trentaduenne) incontra Enrico Mario Broglio, scrittore e pittore ventinovenne destinato a diventare anche editore della rivista “Valori Plastici” e organizzatore di mostre d’arte. Ha inizio un rapporto di coppia e un sodalizio intellettuale e artistico che lascerà tracce bibliografiche (e non solo) indelebili nel dibattito delle idee e dell’artisticità dell’epoca. Decide di firmare “Edita Broglio” i suoi dipinti e comincia a esporli confrontandosi in numerosissime occasioni con gli artisti italiani più celebrati del momento.
Tra il 1918 e il 1921 collabora alla pubblicazione di 15 fascicoli della rivista “Valori Plastici”.
Nel 1927 sposa il Broglio, destinandosi a sopravvivergli, nominata sua erede universale nel 1946.
Enrico Mario Broglio muore il 22 dicembre 1948. Edita  trascorre il primo periodo della vedovanza a San Michele di Moriano in provincia di Lucca (Toscana) fino al 1955, anno in cui si trasferisce a Roma., dove mantiene in vita per alcuni anni le edizioni Valori Plastici.
Nel 1974 (quasi novantenne) si lascia persuadere a mettere ordine nell’archivio di Valori Plastici, collaborante il poeta e pittore Georges de Canino. Muore a Roma il 19 gennaio 1977, giorno di San Mario. E’ sepolta nella Chiesa Ortodossa del cimitero acattolico per gli stranieri al Testaccio.
GIUDIZIO CRITICO- Le sue prime opere sono caratterizzate da una perfezione accademica di scuola d’ambito tedesco, con evidenti tracce della pittura fauve.
In Italia ha dipinto per svelare il cosiddetto “segreto degli antichi”, senza intenzioni restaurative e di revival della tradizione o rivalsa sull’avanguardismo: impegnata nella elaborazione della propria poetica, “…mantenendosi in una personale equidistanza tra le valenze inquietanti di De Chirico, quelle ironiche di Savinio e quelle arcaizzanti di Carrà”.
Ha ridipinto opere già dipinte: il medesimo soggetto in un diverso ambiente, con diversa luce, diverse cromie, diverse intenzioni esegetiche. Ha completato opere lasciate incompiute dal marito, ha retrodatato ingannevolmente opere personali, molte non le ha datate disordinando la cronologia esecutiva di tutto il suo “corpus” artistico.
Proveniente dalla lontana periferia baltica dell’impero russo, la Lettonia “terra di uri e di ambra”, di laghi e di vento, ha conservato (o preservato!) il temperamento originario fino alla fine della sua vita. Tanto che un critico d’arte italiano ha scritto: “non è artista nostrana”. Perché un certo atavismo culturale prussiano russificato, mai rimosso dal profondo del suo inconscio, l’ha continuamente determinata nella elaborazione delle soluzioni formali, iconiche e cromatiche più ricorrenti nei suoi dipinti, durante la sua lunghissima e ininterrotta permanenza in Italia.
Come già scritto per la Kaehlbrandt, anche per la Walterowna, ricognomatasi Broglio, è possibile (opportuno) scrivere che ha dipinto opere meno apprezzate dalla critica d’arte, dopo essere rimasta vedova nel 1948.

Written by rossiroiss

dicembre 11th, 2009 at 11:47 am

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