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NATA IN LETTONIA NOTA IN ITALIA

Lolita a PorrettaLolita a Urbino

Art. Carlino

LOLITA TIMOFEEVA assume notorietà artistica con tale nome e cognome in Italia, proveniente da Riga, sconosciuta e senza alcuna esperienza espositiva all’attivo, neanche del tipo collettivo scolastico o unione degli artisti.
Nasce Lolita Jaskina, secondogenita tra due fratelli, a Riga (Lettonia) il 4 febbraio 1964: l’anno dell’ascesa potere di Leonid Breznev. Il padre Micail è un marinaio bielorusso di Mozyr, tecnico di bordo diplomatosi all’Istituto Nautico di Riga, frequentemente assente perché in navigazione. La madre Raissa è una casalinga in dimestichezza con l’arte culinaria, tanto da privilegiarla come attività lavorativa retribuita. Dando credito al detto “nel nome il destino”, l’esistenza le riserva “rose e dolori”: poiché il nome Lolita deriva dal nome Dolores.
Compie studi scolastici russofoni a Riga, primari e secondari, fino al conseguimento del diploma di stilista calzaturiera presso un istituto tecnico (1984). Poi intraprende gli studi superiori presso l’Accademia del Design a St.Pietroburgo (1984-88) e Mosca (1988-90). A Mosca frequenta l’atelier del pittore Serafim Golofev, e sposa Juri Timofeev, ricognomandosi Timofeeva. Alcune intemperanze caratteriali dello sposo la conducono, però, a porre termine drammaticamente al matrimonio, col ritorno a Riga, il divorzio e l’interruzione degli studi superiori.
A Riga lavora come stilista calzaturiera, e frequenta il corso propedeutico della Accademia di Belle Arti.
Nel 1991, anno dell’indipendenza della Lettonia da Mosca (21 agosto), giunge in Italia per sposare un operaio metalmeccanico di origine lucana, Emanuele Noviello, con casa a Monterenzio, attività lavorativa a Ozzano in provincia di Bologna, viaggio di nozze a Matera. Lo ha conosciuto durante una vacanza sul Mar Nero l’anno prima. Giunge in Italia con nella valigia tutta la sua esperienza di stilista calzaturiera, tanti disegni per i calzaturieri italiani più noti, le ambizioni di pittrice dotata e volitiva, il desiderio di fuga dai disagi del regime sovietico e tante prefigurazioni degli agi europeoccidentali. Si converte dalla religione ortodossa a quella cattolica per sposare il metalmeccanico italiano nella chiesetta di S.Maria di Zena santuario del Monte delle Formiche, territorio collinare bolognese. “Il Resto del Carlino” notizia tale matrimonio titolando: Luna di miele in pieno golpe – Lui di Monterenzio, lei nata in Lettonia, ( 5 settembre 1991).
Nel 1993, anno delle prime elezioni democratiche della Saeima (il parlamento lettone), acquisisce la cittadinanza italiana, con relativi passaporto e certificato elettorale, e dà inizio alla sua attività espositiva nella sala di una libreria a Bologna, in duo con un’amica russa (architetto), Elena Arkipova. Espone opere nelle quali risulta evidente l’insegnamento sovietico, accademico e formale, degli “ismi” pittorici europeoccidentali ritenuti compatibili con l’ideologia  al potere nell’URSS. Opere che raffigurano paesaggi lettoni, composizioni di oggetti d’uso comune locale, figure d’uomini e donne connazionali, interni domestici ed esterni proletari, ruralità eterogenea.
Ha così inizio il suo rapporto con il cosiddetto “mondo dell’arte” e il suo indotto. Il matrimonio italiano si concluderà con la separazione e il divorzio, appena acquisita la cittadinanza italiana, per l’inadeguatezza culturale dello sposo, associata a incompatibilità caratteriali insanabili. ”Il più stupido dei miei matrimoni”, dirà poi a chi glielo ricorderà. La sua abitazione di single assume a Bologna le caratteristiche dell’atelier artistico: uno spazio di felicità  tra illusioni e delusioni, vittorie e sconfitte.

Nel 1994 allestisce la sua prima mostra personale a Ravenna, nelle sale della Galleria “Il Patio”, inaugurandola il 4 febbraio, giorno del suo 30° compleanno. Espone opere dipinte dopo l’esposizione nello spazio del Museo Alternativo “Remo Brindisi” al Lido di Spina/Ferrara (Settembre 1993) in duo con l’Arkipova, nelle quali iconizza il suo immaginario raffigurandolo con intriganti “Trasfigurazioni”.
In un mio testo, scritto per “presentarla”, si può leggere: Non è una pittura naturalistica quella della Timofeeva. Le sue forme sono simboliche. I dettagli non sono precisati fotograficamente. Rifugge il geometrismo. Perché è una pittura che inclina al simbolismo più che al naturalismo, al fantastico più che al reale, all’onirico più che al coscienziale.
A questo punto, il più è fatto. L’evento espositivo ravennate rafforza il suo radicamento in Italia con casa/atelier a Bologna, dove comincia a risiedere stabilmente, recandosi periodicamente a Riga per incontrare i suoi famigliari, e per allestire due mostre personali: Galeria Rigas Vini (1-15 giugno 1996), Arzemju Makslas Muzejs (11.05 / 11.06 2001).
Durante gli anni successivi le sue esposizioni si susseguono, sia in Italia che all’estero, testimoniando la sua emancipazione artistica in progress, e la sua maturazione culturale, con prestigiose pubblicazioni e una lusinghera eco massmediatica localizzata. Con qualche “flop”, come le esposizioni (alla resa dei conti clandestine) allestite nella Sala Europa 92 del Centro Ippico Pavarotti (3-28 aprile 1999) e nell’espace “Rdc couloir”- batiment ASP del Parlamento Europeo a Bruxelles (30 settembre-5 ottobre 2002), ignorate dai massmedia e disertate dai visitatori.
La sua scheda elenca numerose esposizioni personali e collettive, in sedi prestigiose e spazi surroganti, con alcune presenze di opere in collezioni museali pubbliche e private, sia in Italia che all’estero.
Una esposizione delle tele dipinte ad hoc ed estemporaneamente per un “insieme” intitolato “Anatomia di Firenze”, destinato alla ingenua amatorialità ben redditata dei membri moscoviti di una “Società Fiorentina” in salsa russa, l’ha realizzata a Mosca nel 2004 nella Biblioteca di Letteratura Straniera (12 febbraio / 4 marzo), collateralmente alla presentazione di alcuni libri, per favorirsi un ritorno occasionale nell’utero scolastico russofono della sua giovinezza: proveniente dal benessere artistico e consumistico europeoccidentale conseguito, memore del malessere intellettuale ed economico sovieticorientale sperimentato durante gli anni ’80 del sec.XX°.
Ha eseguito disegni che sono apparsi pubblicati in due libri di poesie: Pendant la féte, tu sera la belle di Enzo Rossi-Ròiss (Iles Célèbes, Geneve 1995) in duo con Alain-Pierre Pillet edito da Sintesi (Bologna) - L’avventura della dualità di Mario Luzi (Caffè Giubbe Rosse, Firenze 2003.

GIUDIZIO CRITICO – Lolita Timofeeva è giunta in Italia nel 1991, artisticamente autodidatta, tutto ignorando del cosiddetto “sistema dell’arte”, relativo alla promozione artistica, e con una conoscenza scolastica dell’arte, moderna e contemporanea acquisita visitando i musei sovietici e osservando le riproduzioni nei libri d’arte dell’editoria made in URSS. Vi è giunta con nessuna esperienza espositiva nei suoi luoghi di origine e di educazione culturale: determinata a infrangere la sua identità culturale inequivocabilmente “sovietica” e realizzare la sua emancipazione sociale e artistica. Il viaggio in Italia lo ha intrapreso, quindi, come un’avventura, predisponendosi a patire gli eventuali disagi iniziali del matrimonio cattolico con un uomo italiano, culturalmente e socialmente inadeguato a favorire la realizzazione delle sue ambizioni e la sua promozione sociale e artistica.
All’attività espositiva ha dato inizio autarchicamente, nella saletta mercenaria di una libreria a Bologna, incontrandomi ventiquattro ore prima dell’inaugurazione (11 febbraio 1993): determinata a promuoversi in luoghi abitati da una committenza artistica benestante.
Poi è stato un susseguirsi di esposizioni personali e collettive, in gallerie private e luoghi pubblici, oltre che in alcune fiere dell’arte, convenientemente “presentate” da critici d’arte, scrittori e poeti illustri, puntualmente notiziate da giornali e riviste. Fino al 1997, anno in cui ha rappresentato ufficialmente la Repubblica di Lettonia alla XLVII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, da me prescelta e promossa nel ruolo di Commissario e critico presentatore nel catalogo ufficiale.

La Timofeeva l’ho accreditata e promossa: realizzando tutte le sue esposizioni personali e collettive fino al 1999; curando tutte le sue presenze in Artefiera (Bologna) ininterrottamente dal 1995 al 1999, nella Miart (Milano) 1996, nella Europart (Ginevra) 1996 e 1997, in Veneziarte (Venezia) 1999; scrivendo numerosi testi critici e letterari, e sollecitando la scrittura di altri testi d’altri Autori miei conoscenti. Fino a che non ha considerato opportuno autopromuoversi, convinta di avere imparato a suscitare interesse autonomamente, non supportata dalla promozione di promoters dotati di conoscenza e conoscescenze specifiche: stimandosi sufficientemente istruita e idonea a far ciò percorrendo vie “amicali” e accompagnandosi a mentori che il sistema dell’arte considera “corpi estranei” ininfluenti e “tutors” parassitari
Si è data, così, visibilità mondana e massmediatica, come protagonista solitaria di eventi espositivi estemporanei “una tantum” in spazi marginali o surroganti (sebbene aulici, in alcuni casi), supportata da scrittura critica gregaria e occasionale, discriminata dagli addetti ai lavori in dimestichezza con la scrittura critica leader. Opportunisticamente “assessorata” (in alcune occasioni), oppure in esposizione con altri artisti etereogeneamente insiemizzati da critici d’arte curatori di mostre con titolazioni velleitarie onnicomprensive. Sperimentando, così, il depotenziamento massmediatico e il ridimensionamento esegetico, dopo avere sperimentato il contrario: poichè notiziata ogni volta soltanto in loco da cronisti agiografi, tuttoscriventi sterili sprovvisti di sapienza esegetica.
Analizzando i cataloghi delle esposizioni già realizzate dal 1993 al 2006, si può rilevare la mutazione stilistica che ha caratterizzato le sue opere, tanto ci risulta variegata la loro fisionomia. Con una identità psico-sociologica-culturale plurima: lettone per quanto riguarda il luogo di nascita, russa per quanto riguarda la lingua e l’educazione scolastica, italiana per quanto riguarda l’emancipazione ed evoluzione artistica. Ragion per cui è possibile etichettarla pittrice eclettica, polimorfa e proteiforme, nomade per quanto riguarda gli stimoli creativi ai quali si è accampagnata e le poetiche già espresse, priva di uno stile personale riconoscibile.  Poiché una genetica discontinuità caratterizza i suoi cicli creativi, per quanto riguarda l’invenzione formale, la poetica prevalente e ricorrente, il peso della carica simbolica e la vastità dell’area metaforica. E perché il cosiddetto “mestiere del dipingere” lo ha appreso frequentando gli ateliers di due artisti (uno a Mosca e l’altro a Riga), più che le aule e gli atelieurs d’una Accademia di Belle Arti. Apprendendo il resto autodidatticamente visitando i musei, leggendo libri e rapportandosi a persone ricche di conoscenza specifica e conoscenze prestigiose.
Tanto da meritare di essere annoverata subito tra gli “individui creativi di talento” con le opere del ciclo “Trasfigurazioni”, dipinte in Italia durante gli anni 1993-94, dopo le “Raffigurazioni” scolastiche o accademiche dipinte in Lettonia. Inanellando successivamente prestigiosi e significativi riconoscimenti “critici” con le opere del ciclo “Allegorie”, che ha poi “concettualizzato” ridipingendole in frammenti variamente componibili in puzzle, ma singolarmente autonomi e conclusi per quanto riguarda la struttura formale e il contenuto poetico. (Con l’esposizione di tali opere ha esordito nella Artefiera 1995, e si è meritato l’invito a rappresentare la Repubblica di Lettonia nella XLVII Biennale di Venezia 1997).

La Timofeeva è considerata, attualmente, artista virtuosa nel concepire e realizzare mimesi iconiche e aniconiche con apporti di stilemi storicizzati e museificati, capace di simulare accademicamente forme e contenuti artistici di volta in volta simbiotici o più convenienti e remunerativi: fallosamente fiduciosa, però, nella propria abilità autopropositiva (errori di calcolo !?) e nella personale versatilità operativa (errori di presunzione!?) al limite dell’autolesionismo etico ed estetico inconsapevole. Come e quanto un’attrice teatrale sperimentata, capace di simulare sentimenti e comportamenti finalizzati alla resa scenica immediata, prescindendo dalle disapprovazioni considerate negatività contingenti.
Le opere più originali che ha ideato e realizzato, però, fino all’anno in cui scrivo, sono quelle che costituiscono il ciclo “Kama” (dipinti, sculture in vetro e bronzo, opere grafiche): una straordinaria raffigurazione del mondo dei sensi esplorato godendo senza remore un rapporto di coppia intellettuale e passionale, totale e totalizzante, destinato a rivelarsi ineguagliabile, perché vissuto intensamente nel momento in cui il fervore sentimentale l’ha pervasa in sintonia col fervore creativo.Si tratta di una trascrizione del Kama Sutra con immagini plastiche e pittoriche magistralmente eseguite, che emblematizzano l’amplesso amoroso goduto nei momenti in cui il suo desiderio ha mosso… passi decisi e veloci senza inciampare (parole di un poeta). Come ho scritto per le opere intitolate “Kama”, nel ruolo di esegeta “ab origine”.

(Dal libro “Mondo lettone made in Italy” di Enzo Rossi-Ròiss, Edizioni QuattroVenti Urbino 2007)

Written by rossiroiss

febbraio 21st, 2008 at 8:29 pm